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LA GLOBALIZZAZIONE ANNIENTA IL WELFARE STATE

La globalizzazione dell’economia ha avuto un impatto cruento sul welfare state. Con la crisi economica e la pandemia in atto, i suoi principi fondanti stanno rischiando la frantumazione, con gravi ripercussioni tra le fasce più deboli della società.

Il social welfare state (stato sociale assistenziale) è nato su forti principi di uguaglianza, cooperazione e solidarietà. Lo scopo? Fornire servizi sociali pubblici uguali per tutti, nel tentativo di ridurre i divari salariali e di classe, con una vasta ridistribuzione del reddito. Il tutto per raggiungere la piena occupazione, con un progetto sinergico tra governo, imprese e sindacati.

Questo aspetto ulteriore del cosiddetto stato del benessere garantisce un minimum di sicurezza sociale, individuale e collettiva. Tutto ciò viene offerto da un moderno stato sociale con forme di tutela del reddito in caso di vecchiaia, malattia, invalidità, infortunio e disoccupazione. Inoltre, sono tipiche dello stato sociale le misure per eguagliare le diverse possibilità iniziali del singolo: istruzione, formazione, un sistema fiscale capace di ridistribuire il reddito prodotto, la regolamentazione del mercato del lavoro e i provvedimenti che tutelano le condizioni lavorative.

Si tratta, quindi, di un complesso di norme, regole e interventi di politica sociale, che hanno rappresentato il tratto distintivo delle moderne democrazie. Dopo il boom economico degli anni ‘60 e le lotte sindacali, la crisi degli anni ‘70 produsse una svolta nei rapporti sociali di produzione. Il management imprenditoriale, pressato dalle continue richieste di profitti crescenti da parte degli azionisti, cercò di scaricare sui lavoratori i costi delle ristrutturazioni aziendali. Si ridimensionò il numero degli addetti per ridurre il costo del lavoro e si investì nell’incremento della produttività. Cioè, si diminuì il costo effettivo del prodotto lavorato.

Tutto ciò provocò un mutamento nel management e nell’organizzazione del lavoro, per avere una maggiore elasticità dell’azienda nei confronti dei lavoratori e minori impatti in caso di scioperi o astensione dal lavoro. Nacquero, così, le delocalizzazioni ed esternalizzazioni delle produzioni, prima sul territorio nazionale e poi estero, con la creazione della cosiddetta azienda a rete. L’avvento di internet ha facilitato questo processo organizzativo, che ha permesso la suddivisione del lavoro tra una miriade di aziende specializzate, collegate tra loro da un sistema di comunicazione sempre più complesso.

La nuova struttura organizzativa ha messo in crisi il sindacato, fortemente radicato su scala nazionale, ma del tutto impreparato a una sfida globale. In questo modo, si è frantumato il difficile equilibrio tra potere imprenditoriale e quello dei lavoratori organizzati. Le imprese, forti del loro potere manageriale di potersi muovere in libertà sul mercato globale, hanno iniziato a minare le fondamenta dello stato sociale.

Ciò ha indotto gli stati nazionali a scendere a patti con le aziende, ormai sempre più transnazionali, provocando un impoverimento dei vincoli del welfare. I lavoratori si sono trovati costretti a confrontarsi con strutture aziendali sempre meno presenti sul territorio, vedendosi intaccata la copertura di una struttura sindacale e lesi i diritti acquisiti.

Il lavoro ha perso i connotati di stabilità, diventando flessibile, precario, atipico e impedendo a milioni di persone di gestire e programmare il proprio futuro, avendo perso la principale delle certezze: un lavoro degno, fisso, sicuro e garantito. Per ora, la globalizzazione ha sconfitto lo stato sociale, innescando una sorta di guerra tra poveri all’interno degli Stati nazionali e tra lavoratori di diversa nazionalità.

La mancanza di un progetto politico, che miri alla possibilità di rendere transnazionale e quindi multinazionale anche la categoria lavoro, rende la situazione ancora di più difficile soluzione. Solo quando alla globalizzazione dell’impresa, della finanza e del profitto si risponderà con quella del lavoro e dei diritti, della salute individuale e pubblica in primis, allora si potrà sperare di non essere espropriati della dignità umana e che vengano rispettati i principi ideali del social welfare state!

La pandemia da coronavirus ancora in corso è la testimonianza che solo un welfare sanitario pubblico efficiente può arginarne il contagio. E che la privatizzazione della salute, che mira solo al profitto immediato, è dannosa per l’intera collettività, anche perché assente sul territorio. Sperando che sia di monito per i fautori del liberismo selvaggio in un settore come quello della salute pubblica, che deve restare… immune da questa ideologia.

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